Una donna di Sibilla Aleramo

Il femminismo nero su bianco

«Un fatto di cronaca avvenuto nel capoluogo della provincia, m’indusse irresistibilmente a scrivere un articoletto e a mandarlo ad un giornale di Roma, che lo pubblicò. Era in quello scritto la parola femminismo. E quando la vidi così, stampata, la parola dall’aspro suono mi parve d’un tratto acquistare intera la sua significazione, designarmi veramente un ideale nuovo».

[Sibilla Aleramo, Una donna, Feltrinelli, Milano, 2015, p. 86].

Una donna di Sibilla Aleramo

Un romanzo che racconta la condizione femminile

Una donna di Sibilla Aleramo: trama del romanzo

Primo romanzo dell'autrice, Una donna di Sibilla Aleramo è autobiografico. Dopo lo stupro subito a quindici anni, la futura scrittrice è costretta a sposare il suo aguzzino, iniziando così una vita di solitudine e soprusi. Il marito la chiude a chiave in casa per gelosia. La picchia. La violenta. Nella maternità Sibilla Aleramo trova una gioia, e si illude possa esserle sufficiente a vivere.

Dalla suggestione al femminismo: la rivolta di Una donna

Una donna di Sibilla Aleramo è tra i primi romanzi femministi a essere pubblicati in Italia. Esce nel 1906 ed è l’inizio di un successo duraturo. Dopo più di cento anni è considerato un classico, ancora commovente, vero, e attuale. La partecipazione al dolore della protagonista e autrice è totale. Le lacrime di chi legge si confondono con i singhiozzi della voce narrante, nelle pagine più drammatiche dell’opera. Aleramo racconta in prima persona, con il conforto amaro di dire la propria sofferenza ad altri, e di dirla prima di tutto a se stessa, nella speranza di illuminare gli anfratti bui della vita.

Il femminismo di una donna

A metà del testo compare la parola “femminismo”. Mi fa riflettere che sia stato coniato un nuovo vocabolo per rivendicare il diritto all'integrità psicofisica di una parte della popolazione, quella parte che è donna. La donna non è forse un essere umano al pari dell’uomo? Non è forse persona al pari dell’uomo? Non è individuo al pari dell’uomo? Nelle pagine di Sibilla Aleramo appare chiaro che la società afferma una diversissima possibilità della donna di essere individuo e persona rispetto a quella garantita all'uomo. 

Da una parte, il termine “femminismo” risponde alla necessità di mettere in luce il dramma di una prevaricazione e di individuare una voce e un moto di rivolta. Dall’altra, si sviluppa da un’evidenza discriminante, che mostra nella differenza biologica tra i due sessi una contrapposizione, quasi venisse prima, quella differenza, dell’essere individuo e persona. Così, Aleramo, bambina quindicenne che subisce uno stupro, non confida ad alcuno il fatto atroce, ma si convince che l’appartenenza imposta dall’abuso deve essere “amore”. Accetta di essere oggetto e sposa il suo stupratore.

La suggestione

La Aleramo definisce "autosuggestione" lo stallo malato in cui precipita la sua adolescenza. La cultura l'ha convinta della contrapposizione tra i due sessi: uno emerge dominante, l’altro dominato, uno libero, l’altro bisognoso. Le vicende raccontate segnano le tappe di un cammino verso la consapevolezza e poi l’azione, che libera: dolorosamente, ma con la salvezza della dignità.

Frasi dal capolavoro di Aleramo

«In verità, al di fuori della somma di energie ch’io spendevo attorno al bambino, era in me una capacità sempre maggiore di vedere, di volere, di vivere: come una stanchezza morale si sovrapponeva a quella fisica, lo scontento di me stessa, il rimprovero della parte migliore di me che avevo trascurata, di quel mio io profondo e sincero, così a lungo represso, mascherato. Non era un’infermità, era la deficienza fondamentale della mia vita che si faceva sentire. In me la madre non s’integrava nella donna».

Ivi, p. 51.

«Ed ecco che infine penetrava in me il senso di un’esistenza più ampia, il mio problema interiore diveniva meno oscuro, s’illuminava del riflesso di altri problemi più vasti, mentre mi giungeva l’eco dei palpiti e delle aspirazioni degli altri uomini. Mercé i libri io non ero più sola, ero un essere che intendeva ed assentiva e collaborava ad uno sforzo collettivo».

Ivi, p. 82.

«Quasi inavvertitamente il mio pensiero s’era giorno per giorno indugiato un istante di più su questa parola: emancipazione, che ricordavo di aver sentito pronunciare nell’infanzia, una o due volte, da mio padre seriamente, e poi sempre con derisione da ogni classe di uomini e di donne. Indi avevo paragonato a quelle ribelli [le donne del movimento femminile in Inghilterra e Scandinavia, NdA] la gran folla delle inconsapevoli, delle inerti, delle rassegnate, il tipo di donna plasmato nei secoli per la soggezione, e di cui io, le mie sorelle, mia madre, tutte le creature femminili da me conosciute, eravamo degli esemplari».

Ivi, p. 86.

«Perché avevo pensato tanto naturalmente alla morte quando mio figlio era in pericolo? Non esistevo io dunque indipendentemente da lui, non avevo, oltre al dovere di allevarlo, oltre alla gioia di assisterlo, doveri miei altrettanto imperiosi?».

Ivi, p. 111.

Un altro romanzo di una scrittrice italiana

Se vuoi continuare nella lettura di scrittrici italiane, leggi la recensione dell'Amica geniale di Elena Ferrante.

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