Che cos’è un racconto surreale? L’aggettivo che lo definisce è la composizione del vocabolo “reale” e del prefisso “sur-“, che significa “sopra”. Deriva dal francese e insinua che qualcosa è “sopra la realtà”. Potremmo immaginarci un ragazzetto beffardo appollaiato su fronde altissime si diverte a darci un’occhiata. Ma ciò che è “sopra la realtà”, lo è nel senso che la supera? Non vi ha niente a che vedere? È appoggiato, comodo o scomodo? È appeso a mo’ stella o di lampadario?
Decidilo tu. Intanto, ti presento Mita, che voleva tagliarsi i capelli.
Volevo tagliarmi i capelli (un racconto surreale)
Due donne, una vecchia e una giovane, cianciavano sopra la testa di Mita:
«Come li facciamo?», aveva domandato la prima.
«Lisci morbidi», fu la risposta dell’altra.
«Ondulati?».
«No, lisci morbidi», ripeté, arricciando il naso, la giovane, che stava armeggiando con un paffuto mollettone.
Tutto era iniziato con l’idea di dare una spuntatina ai capelli. Mita aveva preso appuntamento nel negozietto di via Lepanto per il tardo pomeriggio.
«Lisci piatti? Ondulati non sono lisci piatti …», continuava la vecchia.
«Ho detto lisci morbidi…», ripeteva l’altra.
«Allora ondulati».
«Ondulati non sono né lisci morbidi né lisci piatti».
La parruccherìa si trovava in una casetta igloo di mattoni, bassa e massiccia, ornata di glicine brillante e profumato, di grandezza appena sufficiente a ospitare una piccola attività di madre e figlia. Davanti allo specchio a tutta altezza, che intersecava la pianta circolare, c’erano tre poltrone nere e gonfie, odorose di pelle vera.
In una di queste, Mita aspettava con le mani sudaticce e le labbra serrate.
Le due donne l’avevano accolta con scintillanti sorrisi a quarto di luna.
«Benvenuta, cara. Che cosa volevi fare?».
Non le aveva mai viste prima, ma nelle parruccherìe si usava apostrofare le clienti con sdolcinatezze del genere.
«Questa sera devo andare a teatro e…».
«Oh, fantastico…».
«Deve andare a teatro!».
«E che cosa danno?».
Intanto, la più anziana, con lunghi capelli grigi sciolti sulle spalle e la schiena magre e ossute, le prendeva la giacca e le faceva cenno di accomodarsi al lavatoio.
«Vado a vedere La cantatrice calva» disse Mita, soddisfatta che i suoi programmi suscitassero tanto interesse.
«La cantatrice calva?».
«Sì…».
«Singolare, decisamente singolare».
«Be’, è un classico».
«Oh, sì sì, ma un tantino inadatto a un appuntamento dal parrucchiere», sghignazzò la giovane, che portava la copiosa chioma lucida raccolta in una crocchia dal fascino casuale.
Mita rispose che non ci aveva pensato, mentre la donna le posava un asciugamano caldo sulle spalle, abbassava il lavabo e si schiariva la gola, tossicchiando e guardando in tralice l’altra, che si era seduta dietro a un tramezzo, dove verosimilmente doveva trovarsi la cassa, ma non ne siamo sicuri, perché Mita non riusciva a vederla.
«Volevo tagliarmi i capelli», annunciò finalmente, ma con voce tremolante.
La vecchia si voltò di scatto dallo sgabello su cui stava tutta curva, con altrettanta curva nel viso increspato.
La giovane fece un gridolino.
Mita si raddrizzò di scatto.
«Che succede?».
Dopo qualche istante di silenzio, la vecchia le venne incontro e con tono bonario e rassicurante prese a spiegarle: «È evidente che oggi non puoi tagliare i capelli».
Ed ecco un altro sorriso, smaltato di bianco e ornato di rosso.
Mita sorrise a sua volta, ma senza mostrare i denti.
«Se vai a vedere La cantatrice calva stasera, non puoi tagliare i capelli adesso. Lo sanno tutti».
La vecchia sorrise di più, fino ai denti del giudizio.
Mita stavolta tirò un sospiro di sollievo.
«Mi sembravano rovinati», disse piano.
«Niente affatto, niente affatto», ribatté la giovane che ormai stava trafficando con la testa di Mita per cospargerla di shampoo.
«Puntiamo sulla lucentezza», riprese la vecchia.
Il massaggio della parrucchiera giovane si fece più deciso.
A Mita sembrava di aver sul collo un pallone, sbatacchiato su e giù, mentre la cervicale diventava un fil di ferro, che a piegarlo, raddrizzarlo e ripiegarlo, corre il rischio di spezzarsi all’improvviso.
Ripensò alla serata che l’aspettava: un prosecco nel foyer, un panino di burro, il prosciutto cotto dentro, le giacche degli uomini, le fragranze delle donne, il profumo del legno, il brusio delle chiacchiere, la sospensione dello spettacolo.
I muscoli tornarono a rilassarsi, come fanno di solito al lavatoio delle parruccherìe.
Il trattamento lucentezza consisteva nel buttare un gran calore sulla testa e sul fil di ferro che la teneva attaccata al corpo attraverso un grande casco a forma di uovo di Pasqua rotto e rovesciato.
Mita aveva iniziato a guardare l’orologio, rannicchiata nella poltroncina nera e grassoccia.
Quando finalmente il fil di ferro fu incandescente, le due donne riposero il casco a forma di uovo di Pasqua.
La fretta, a volte, gioca brutti tiri.
Con spazzole tonde e phon, le due donne avevano iniziato insieme la piega di Mita, ma ancora non si erano accordate sulla qualità del liscio e della morbidezza che avrebbero dovuto trovar armoniosa unione sulla sua testa.
«Lisci come l’acqua sgasata, vecchia rimbambita».
«Effetto unto, pelosa scervellata».
Tutto a un tratto, le tiravano i capelli nel tentativo di lisciarli, in direzioni opposte, una da una parte e una dall’altra, con forza smisurata, ancorandosi alle poltrone laterali, alternando colpi di spazzola e phon sempre più violenti.
«Tu hai liscio il cervello, l’ho sempre saputo».
«E tu puzzi e fai schifo».
Mita si sentiva schiacciare verso il pavimento, mentre la sua testa continuava a ruotare di centottanta gradi, da destra a sinistra, da sinistra a destra, da est a ovest, da ovest a est, in un alternarsi continuo e repentino di scorci e punti di vista sul piccolo negozietto, che però Mita ormai non poteva più afferrare o bloccare per più di una frazione di secondo.
Lo strappo fu netto, sordo, attutito dal prevedibile, un epilogo che mette i cuori in pace.
«La testa! La mia testa! Riattaccatemi la testa!».
Era sobbalzata ruotando verso il soffitto, poi era scivolata giù ed era rotolata oltre il tramezzo, dove poco prima sedeva la vecchia ed effettivamente c’era davvero la cassa.
La parrucchiera giovane si affrettò a raccoglierla e le ravviò i capelli, con gesto esperto, mentre la riportava alla legittima proprietaria.
«Perfetta, perfetta», commentò un po’ tra sé, un po’ rivolta a Mita, con aria soddisfatta, mentre da un cassetto a ridosso dello specchio estraeva lo spray della lacca.
La vecchia si era affrettata a fare lo scontrino.
«Sono sessanta. Facciamo un piccolo sconto, cara».
«Riattaccatemi la testa!», insisteva Mita, che si era alzata nel frattempo e mal si destreggiava tra la testa in mano, la borsetta e la ricerca del portafoglio.
«Questo non è nelle nostre competenze», disse la donna, con un gomito appoggiato al tramezzo e la mano tra le ciocche d’argento spento che grattava via un malcelato prurito.
Appena uscita dal negozio, Mita pensava ai possibili vantaggi di aver una testa mobile, come per esempio guardar La cantatrice calva dalla prima fila, sebbene il suo posto fosse nell’ultima.
Intanto, le due donne, la vecchia e la giovane, avevano ripreso a cianciare per conto loro.